L’informale astratto e materico di Angela Cacciamani
Nell’arte visiva del ventesimo secolo si sono susseguite delle importanti ed innovative interpretazioni caratterizzate da: l’arte gestuale e segnica (Capogrossi), ispirata al surreale (pittografie giapponesi) e all’action painting statunitense ( Pollock); l’arte materica condizionata da materiali importanti per la forma (Burri, Tapies, Fontana); la pop art che, valorizzando l’uso e il rifiuto, è sfociata nel Kitsch; la Body Art e l’Art Language, sintesi della visualità, dell’ideologia e della concettualità; il neoconcretismo che, nelle sue “textures” cromatiche, annovera anche l’artigianato applicato al dipinto.
La presa di coscienza degli artisti per i danni derivanti dai residui della tecnologia, dell’inquinamento, dell’industria è evidente nella denuncia dei sacchi e degli stracci di Burri, della ferraglia di Chamberlain, dei combine paintings di Rauschenberg, dei manichini antropomorfi di Segal.
Convinta dalla ricerca intrapresa per trovare un’espressione congeniale all’evoluzione razionale del sentire d’oggi, Angela Cacciamani, ritenendo ormai superato l’esprimersi nei paesaggi e nelle nature morte di tipo espressionista, si è soffermata sul surrealismo, ha approfondito il cubismo e l’astrattismo e si è sentita coinvolta nell’astratto materico ed informale.
L’uso dei materiali eterocliti e poveri come i laceri sacchi di iuta, gli stracci rammendati, le plastiche logorate, i legni incombusti, le reti rammendate, le segature mescolate, le terre sintetiche, il vinavil adoperato – nel perfezionare l’esperienza già avviata da Alberto Burri – l’ha indotta ad esacerbare la bellezza partecipata dallo sfacelo, nel ristrutturato e nuovo messaggio trasmesso dalla materia.
Un’affinità impropria avvertita nei relitti, effimeri e rozzi, residui della contrapposizione inconscia tra la levigatezza formale, da cui siamo circondati e la ruvida bellezza insita nella natura.
Il ricorrere ai materiali adoperati, esaltati dal naturale cromatismo, acceso per meglio trasmettere quelle percepite sensazioni, consente alla cosiddetta “arte povera” di far assaporare, nell’apparente rinuncia al piacevole, la natura vilipesa recepita nella ruvida astrattezza della tela, monocroma o acromatica, per esaltare una realtà fenomenica riprodotta nei materiali usati con la rigorosa determinazione dei rapporti timbrici, accentuati dagli spazi e dalle dimensioni .
Gli impasti e le ombre risaltano negli incastri in cui accosta le superfici arabescate alla scabra tela di sacco, in un rammendo cromatico che interrompe l’opaca superficie.
La sua ricerca – un “passaggio di mano” avvenuto con gli artisti della precedente generazione – consente di far percepire il processo creativo sviluppato dal suo intelletto, lo snodarsi del concatenato rapporto, carico di una misteriosa tensione poetica, tra la sacralità della natura e la violenza nel profanarla, per trasmettere taglienti e spietate denunce visivamente intuibili e tangibilmente recepite.
Il suo operare, nel trasmettere le volute impressioni suscitate dal contenuto, consente di cogliere nel suo infinito, un espressionismo informale ed astratto che svela i concetti espressi dai residui dall’aggregazione originaria dei materiali adoperati, per cui consente alla sua ispirazione di conferire loro una nuova vitalità secondo la sua evoluta concettualità.
Il colore vivido o greve, a volte monocromo, nell’amalgamarsi ai materiali rimodellati, conferisce effetti visivi in uno spazio dinamico, esaltato dalla semplicità strutturale del segno, per sottolineare l'essenzialità del messaggio che, in una determinata sintesi, esalta le avvertite sensazioni – prima con evidente sconcerto, poi con suadente introspezione – nelle evidenziate tematiche concettuali e sociali richiamate negli elaborati.
Un impatto sconvolgente, che fa riflettere sulle problematiche odierne, determina il suo recondito messaggio: riflettere, non subire, reagire.
Nella società permissiva che stordisce e costringe alla solitudine del cuore, la Cacciamani nelle sue elaborazioni fa emergere il conforto di trovare nel desueto, nella forma semplificata, esacerbata da un suo suadente cromatismo, la spontaneità primordiale in cui ritrovare l’originale creatività obnubilata dal dissacrante rifugiarsi nel materialismo consumistico.
Una sottile e malinconica inquietudine affiora dalle sue ironiche e provocatorie denunce, equilibrate negli accostamenti, in grado di far intravedere i patemi, le paure, le speranze e le attese.
Un suo esprimersi che, nel mettere in risalto le sensazioni percepite dalle fantasie interpretate dall’inconscio e dall’onirico, richiama nei segni e nelle intraviste figurazioni le intime frustrazioni che trasmettono aneliti liberatori.
L’andare oltre, il superare l’orizzonte – la “siepe” leopardiana che l’occlude – per svelare a se e agli altri il non compiuto, il non intuibile, il non visibile, è il dilemma della drammatica lacerazione fisica e psichica che tormenta ogni cogito sui possibili sbocchi della nuova frontiera del domani, circoscritta nella percettiva struttura psicofisica dello spazio, da far fruire al curioso non aduso alle sue indicative interpretazioni.
Una visione della società fratturata dall’ingordigia dell’uomo e ricostruita dagli elementi distrutti ed enfatizzati nel nuovo ordine creativo suggerito dalla Cacciamani
Non sfugge ad una attenta analisi il complesso lavoro di ristrutturazione che l’artista umbra compie rivedendo, con la maturata esperienza, l’astrattismo informale e materico quando seleziona, con certosina accuratezza, i diversi componenti scelti per incastonarli nel supporto ordinamentale, conferendo al rappresentato delle struggenti emozioni timbriche mediante la vibrazione cromatica dei variegati toni, attinti nell’essenza stessa degli elementi adoperati, per farli recepire così come, seguendo la propria creatività, sono stati evidenziati dalla sua sensibile emotività.
Vito Cracas