Dis-ordini

Questa preoccupante confusione di senso è l’apertura dell’ordine simbolico come distruzione, come sacrificio dell’ordine che l’Io e la sua ragione hanno storicamente  dispiegato sulla terra. Allontanando dall’Io il suo mondo abituale, il sacrificio genera nell’Io l’angoscia di uno spazio non ego-logico
Umberto Galimberti

L’arte contemporanea è attraversata, ormai da tempo, da interrogativi e da dubbi che ne mettono in discussione la legittimità. Spesso si sente parlare, con una certa imprudenza, di “morte dell’arte” e con essa si nominano le più eterogenee teorie estetiche e critiche con cui ancorare l’arte ad un certo senso del Vero, ad una sua figura ad esso adeguata. In questo contesto l’artista si trova esposto ad una scelta radicale: o distruggere l’ordine geometrico del mondo per far nascere opere che muovono da un’esperienza fisica dell’artista stesso, o recuperare l’ordine del tutto attraverso un realismo in cui l’Io la fa da padrone.
Le opere di Angela Cacciamani scelgono di percorrere la prima strada: esse scelgono, cioè, di lasciare un ingenuo realismo a favore della configurazione di un nuovo modo di intendere la realtà psichica del soggetto e lo spazio in cui esso vive. Sulla scia delle già note esperienze pittoriche di Pollock, di Rothko, di Jorn, le tele dell’artista segnano un momento di sviluppo originario dell’intero suo iter artistico. Originario e problematico ad un tempo. Poiché non solo si avvalgono di commistioni di materiali, ma soprattutto si configurano come un quid medium tra l’espressionismo astratto ed il materico, accogliendo di queste due correnti non solo le istanze e le premesse artistiche ma anche e soprattutto le eredità.
Il colore, per lo più steso sulla tela in orizzontale, si combina con elementi semplici e nuovi: ferro, legno, juta, plastica, fogli di quotidiani, rimodellandoli e combinandosi con essi in modo tale da rendere un effetto vivo della materia. Proprio puntando su questo aspetto, ogni elemento materiale diventa possibile elemento pittorico. Osservando le opere della Cacciamani si nota come lo spazio sia concepito e non dominato da e per il soggetto, ma da un nuovo concetto di ordine che, incontrando la materia, diventa dis-ordine. Quest’ultima si flette unendo le sue caratteristiche originarie ad una scelta dell’uso del colore che ricorda l’afflato spirituale ed emotivo pensato da Kandinskij ne Lo spirituale. Pochi colori, per lo più tutti dominanti, in-formano la tela e la materia scelta dando luogo a una nuova forma di spazio: disordinato, dinamico, convulso, denso. Spazio in cui l’Io fa fatica a trovare una porzione di mondo da abitare, poiché questo stesso spazio sancisce la disfatta della razionalità rappresentazionalistica che ha dominato per tutto il XIX secolo, protraendosi sin all’inizio del XX, e che ha investito larga scala del sapere.
L’ingresso del materico nelle tele della Cacciamani segna la fine di un approccio sognante e surrealista, per approdare all’attestazione della “morte dell’io”, al trionfo dell’impulsività agitata, alla manifestazione di un istinto creativo non imbrigliato nelle norme della ragione e vicino ad una certa ritualità primaria da cui l’arte era originariamente generata. La superficie animata delle tele assume qualità tattili e narrative: essa ha una storia da narrare, ed è quella di un soggetto che abita in modo confuso e non coerente uno spazio nuovo, atipico, ma non per questo privo di senso.
È nello scollimare dei piani visivi, tattili ed infine  narrativi che la soggettività artistica precipita e con essa ogni possibile ancoraggio al Vero. Così, ogni tela, ogni sua narrazione è sempre una narrazione del possibile, dell’aperto e del dis-ordine che siamo chiamati ad abitare.

Francesca Brencio