L’astratto recuperato

Fare il punto sull’itinerario creativo di Angela Cacciamani, dopo un ventennio di lavoro ininterrotto e multiforme, mi pare non tanto il proposito di storicizzare gli svariati linguaggi praticati e sondati dall’artista umbra, quanto constatare la logica del suo approdo attuale. Uno sviluppo consistente, e “sviluppare” credo sia il termine più adatto per descrivere la mutazione qualitativa delle opere.
Se, difatti, i lavori precedenti, pur con intento personale e una connotazione stilistica estremamente interessanti, mostravano il segno di una realizzazione parziale ed “ereditata” (naif colto, surrealismo, materico astratto-espressionista) il lavoro di questi ultimi mesi è il frutto di una ben più complessa e “sentita” realizzazione, a cominciare anche dagli elementi che compongono e danno vita all’opera. A corredo, una particolare osservazione: il percorso della Cacciamani pur prendendo le mosse da una precedente esperienza informale, appare nettamente differenziato; l’attenzione dell’artista umbra è tutta alla materia-macerata, stratificata, consumata, lavorata in togliere più che aggiungere: una superficie insieme preziosa e corrosa, scandita da segni indecifrabili, da una forte carica gestuale, strana algebra e alfabeto inesistente.
In queste opere recenti è come se un flusso di energia sotterranea percorresse le sue superfici per poi esplodere in coaguli di magnetismo manifestati da improvvisi bagliori di luce e di materia. E la materia utilizzata per questo ciclo di opere accosta alla pittura vera e propria i materiali più vari e suggestivi. Una rivisitazione dell’astrattismo materico? Con una sensibilità nuova e personale, certo.
Come suggerisce il grande Eliot: “Nulla che sia fondamentalmente tradizionale può essere veramente nuovo”.
L’artista, certo, porta con sé come bagaglio acquisito la padronanza tecnica, la fantasia e l’immaginazione, l’uso straordinario della materia che alterna o accomuna la plastica, il legno, gli smalti, le accensioni di colore, le tele vissute da imballaggio depositarie di lembi e di scritte e orme del tempo. La visione del mondo proposto dalla Cacciamani si frattura e si ricompone in un ordine silenzioso, connaturato alla sensibilità estrema dell’artista.
Una attenta osservazione delle sue opere consente di precisare che Angela non parte da un soggetto per costruire poi, con l’ausilio della tavolozza, l’ambiente in cui l’oggetto è posto: ma si vale del colore, degli spessori, della raffinatezza degli effetti materici, per predisporre l’inserimento dei soggetti o, se si vuole, del motivo dell’opera. Ad Angela Cacciamani non mancano i connotati pittorici per essere considerata componente di quella ricca schiera di artisti che s’interessano di documentare non solo la realtà del mondo esterno ma un loro lucido stato d’animo in difesa delle tradizioni plastiche umbre: da Dottori a Burri, da Notari a De Gregorio e a Leoncillo. L’artista, assolutamente impegnata nella ricerca creativa, crede fermamente in una autonomia lungamente difesa. Frutto di un lavoro silenzioso, attuato nell’approfondimento dei temi prediletti, le tele hanno quale comune denominatore il tono veloce e sicuro, capace di fornire effetti straordinariamente densi di tensione e di drammaticità virtuale. E’ una sensibilità che la spinge a sondare l’oggetto tridimensionale, e riproporlo in un ricercato ordine ritmico: una serie di sculture recentissime, di ordinato e solido rilievo plastico completano l’opera pittorica mutuandone soprattutto il nero robusto e il precario, e istintivo, ordine geometrico.
In queste esperienze nuove, da lungo tempo meditate, ritroviamo un esile richiamo a immagini del mondo reale, interpretate e ricreate poeticamente, in parallelo con l’opera dipinta.
Nel lavoro recente dell’artista umbra il controllo estremo dei mezzi e delle intenzioni si somma a una vitalità e ad una “sensualità” altrettanto estreme. Il risultato è una pittura, in qualche modo, positiva. Per l’artista la pittura, ovviamente, non è mai morta, non è quindi il caso di parlare di riscoperta del dipingere. Angela è in questo momento sull’altra sponda dell’informale, ce ne mostra la fisionomia nascosta; in emergenza c’è il vitalismo, la spinta a fare,  creare in superficie e in profondità: c’è l’esperienza, infine, di ricostruzione di un possibile “fare pittura” (tentato nei cicli precedenti) e non di una decostruzione. Ancora un volta la profondità viene nascosta in superficie, fra intrecci di colore in fermento, sollecitazioni materiche, accurato studio dello spazio. E le zone di colore sono già idee di spazio, le stratificazioni sono segni di equilibrio che si risolvono nell’ambito del quadro, e ogni gesto dell’artista diviene una misura, quella che serve a dichiarare una presenza fisica e culturale.

Franco Gentilucci