TRASFIGURAZIONE

 

         Il percorso di un artista offre opportunità d’indagine sulla sua evoluzione estetica e sulle sue scelte creative, tematiche. E’ un tracciato che s’insinua nella storia del gesto con opportuna accortezza sfiorando altrui sensazioni, accogliendo proposte, rifiutandone altre. Un modello può servire con adeguati stimoli, con suggestioni, con adeguamenti. E’ la stessa storia dell’arte a far sì che ogni autore trovi una risposta alle sue ricerche, alle sue incertezze, ai suoi ideali visivi. Una pittrice umbra, Angela Cacciamani, è riuscita ad identificare la sua espressività nella materia così come un maestro del ‘900, Alberto Burri, aveva suggerito. Anche Burri era partito dalla realtà così come si propone ai nostri occhi, una figurazione in parte accademica, in parte espressionista. Durante la prigionia nell’ultimo conflitto bellico che ci vide coinvolti aveva creato un suo diario di oggetti, eseguendo le opere come la memoria quotidiana sollecitava. Un suo dipinto dell’epoca era stato acquistato negli anni ’50 del Novecento da un grande collezionista bresciano ora scomparso, Guglielmo Achille Cavellini, a lui servito come punto di partenza per costruire la sua straordinaria raccolta d’arte contemporanea intesa a documentare l’avanguardia del secolo scorso rivolgendo il suo interesse alla produzione italiana accanto ai grandi nomi della pop art americana, all’astrattismo, ad ogni esperienza proiettata nell’avvenire. Quindi, dopo il Burri ante litteram, la collezione si era arricchita con il magistrale apporto innovativo dell’artista umbro permettendo una giusta riflessione sulle sue capacità di scavare nell’immagine, traendola dalla materia. Perché abbiamo accennato a questa capacità evolutiva, ai transitori passaggi, alle ribellioni ed alle provocazioni dell’autore di Città di Castello? Per confermare la validità del lavoro di ricerca di altri più giovani artisti, oggi anch’essi approdati ad una loro condizione ottimale attraverso stati d’animo ed indicazioni pedagogiche che avevano stimolato la loro curiosità ed approfondito i loro talenti.

         Seguendo la linea iconica dell’esperienza artistica moderna troviamo i materiali primi ed i segni elementari da cui è partita la Cacciamani, in un suo mondo surreale con i racconti della terra dove vive, con la sacralità ed il misticismo dell’Umbria, con la verginità in parte ancora conservata del suo paesaggio. L’accostamento semplice ed ingenuo delle prime opere alla natura e quindi alla trasformazione dell’oggetto e della figura in leggende e miti, una favola continua nel piacere fantastico, ha dato adito ad ulteriori tentativi di approfondimento, lasciando progressivamente da parte il fondamento mimetico delle sue narrazioni. La deformazione espressiva ed il progressivo abbandono dell’illusionismo naturalistico facevano intuire che la Cacciamani avrebbe cercato altre soluzioni, più radicali ed emotive a favore di un azzeramento linguistico. Anche l’osservazione di quanto accadeva intorno a lei ha gettato le basi per farle riconsiderare il suo processo creativo.

         Per assumere a proprio fine la conoscenza dello stato dell’arte così come oggi si propone spesso in maniera confusa e caotica, spiazzando l’osservatore nei suoi criteri di valutazione, l’artista umbra ha compiuto un duro lavoro di ricostruzione e di verifica eliminando ridondanti sovrastrutture e riducendo alla sostanza ogni sua rappresentazione.  

 

         Il nostro modo di illustrare ed approfondire la linea estetica di ogni autore che si presenti all’interpretazione ed all’intervento critico si è nel tempo in parte trasformato. Dall’attenzione convenzionale alla sperimentazione od al cosiddetto messaggio siamo passati ad un approccio più intimo ed umano per tener conto dell’atteggiamento pratico dell’artista, dei suoi luoghi, delle sue decisioni, eventualmente anche delle sue contraddizioni. Siamo entrati negli studi ripristinando vecchie abitudini di confronto e di confidenza, un metodo colloquiale dunque, per un’esigenza circostanziata nel rapporto radicandolo alle prossimità della vita e di ciò che ne emerge fra le vertigini della creatività.

         L’attenta e ripetuta visita nell’atelier di Angela Cacciamani, posto in un luogo riservato ai piedi del colle di Trevi, fra gli essenziali ulivi nei terreni circostanti, ci ha aiutato molto nello scandaglio delle opere da lei realizzate negli ultimi anni. La “parentela con le cose” come la chiamava Foucault, le stesse cose che si trovano uscendo all’aperto ed esaminando i residui di stagioni passate quali i lembi di juta, le sabbie quarzifere che poi la pittrice avrebbe impastato con il Vinavil, le pietre ed i legni combusti, le carte consunte, i cordigli francescani che ci portano ad un passo da questi siti ombrati dal Subasio, i fili residui delle telerie umbre ed ancora tanti elementi semplici accostati con sapienza sulle superfici dei quadri, aggrumati, accarezzati, vincolati dalla materia primaria del colore che si pone come fondo o come contesto con l’uso di smalti e vernici, è presupposto fondamentale per la creazione dei suoi dipinti. Il progetto originario si avvale di codici ben precisi e non manca il senso della metafora, al di fuori di statuti convenzionali. L’autrice ha riconosciuto le sue ascendenze rispettandone la qualità ma non ha ritenuto di portare avanti passivamente la sua ouverture nell’arte e nemmeno l’iniziale tipo di rapporto con la materia. C’è ormai quasi tutto di suo in ciò che fa, tra linguaggio e realtà oggettiva. Del resto è sempre avvenuto nello sviluppo del discorso artistico che la personalità dell’autore fosse composta anche dai precedenti storici, pur nella sua autonomia. Senza far ricorso al termine di “scuola” c’è la necessità di una partecipazione pregressa, quindi di un assenso a posteriori che acceda a vari ordini di pensieri.
 L’informale che ad un certo punto del suo lavoro analitico e programmatico ha segnato le tele e i cartoni, le tavole ed altri vari supporti, non è ancorato a determinati usi. E’ il fiato stesso dell’opera a farsi autentica rivoluzione, a misurarsi con l’esterno in grande varietà di umori.

         Vittorio Sgarbi ha affrontato questo tema da par suo ed ha parlato di corrispondenza, che nulla toglie alla “libera iniziativa dell’autore”. In tal senso è possibile proseguire il discorso sull’opera della Cacciamani che ha saputo gestire l’influenza degli autori a lei contigui con molta abilità e creare una sua legittimità d’azione per scelta ideologica dopo i passaggi preliminari e le suggestioni creative. Le sue fonti simboliche non si sono perse, i suoi miti si risolvono legittimamente nella complessa composizione del quadro. L’ispirazione ha un fondamento che non è mai venuto meno nel corso del suo lavoro ed è un’intesa metafisica con il “documento” visivo proposto. La configurazione della sua provenienza artistica ha creato le condizioni per il futuro e la potenzialità suggestiva dei temi si è iconicamente trasformata senza perdere d’intensità. La nuova realtà, perché di realtà sempre si tratta, si confronta con i simboli post-moderni dello sperimentalismo dove si intravvedono segni ironici della cronaca quotidiana, un’allegoria della moderna coscienza, di un sapere destrutturato. A cosa fa pensare la revisione dei laceri tratti dall’esistenza contemporanea che Angela Cacciamani persegue con scrupolo e convinzione? Certamente alle nuove mitologie della società, che premono sulla nostra intelligenza per permetterci di affrontare il mondo frammentario ed ambiguo, nella pluralità dei suoi conflitti. E’ motivo fondamentale per penetrare il senso del suo inventario d’immagini nelle sequenze vitali ed organiche composte sulle superfici degli elaborati. La materia come alfabeto per una narrazione simbolica, come nomenclatura per la sopravvivenza dell’espressione visiva in un rapporto dialettico referenziale. Plasticità della materia nelle sue svariate opzioni, capacità artigianale di plasmarla e condizionarla alle esigenze in un attento equilibrio fra spazio e forza dinamica. L’artista umbra è riuscita a realizzare la versione evocativa della rappresentazione con scrupoloso impegno, con tanta dedizione, immersa nel magma della provocazione e della “contraffazione” per scardinarne l’aspetto negativo e raggiungere la “sua” versione dell’opera in progetto. 

         Certe premesse, siano rappresentazioni precedenti di grande forza propulsiva siano suggestioni emotive a cui si è predisposti, hanno indotto molti artisti ad inserire il loro progetto nel piano più vasto della rivoluzione avvenuta nel ‘900 distruggendo vecchi strumenti d’espressione. Angela Cacciamani ha lavorato molto all’interno della sua creatività per liberarsi dal conformismo della tradizione accademica. La nuova realtà è entrata a far parte della materia elaborata dell’opera d’arte – come sosteneva Duchamp – e l’artista umbra, anche per sfuggire al procedimento imitativo che i suoi nuovi interessi rendevano possibile, si è maggiormente interessata al rapporto dialettico tra il momento della “trasfigurazione” decostruendo il passato e il momento della creazione di un suo rinnovato linguaggio, accettando l’inedito insegnamento del Maestro di Città di Castello. 

 

         La scommessa di Angela Cacciamani con l’affascinante possibilità data dalla materia “povera”, prelevandola dalle caratteristiche che questa aveva in origine e che aveva mantenuto nel tempo, l’ha portata all’accettazione della teoria di Burri, alla semplicità francescana del recupero. L’esperienza tesa a sostituire “alla trasformazione lirica o razionale delle cose le cose medesime”, come avevano fatto per secoli la pittura ed ogni altra espressione visiva è andata ben oltre l’oggettivismo di Duchamp che proponeva l’alter ego del manufatto. Il frammento assume valori inconsueti, concettualmente e fisicamente mutevoli, si ricompone all’oggetto da cui è tratto, entra ed esce dallo schema della rappresentazione, infinitamente variabile. Nei vari temi delle sue opere la Cacciamani include diligentemente e con cognizione di causa la materia “giusta”, nel cromatismi più opportuni e nelle scansioni più equilibrate. L’autonomia dei codici estetici di cui si avvale le permette di impostare il suo lavoro secondo gli stimoli della fantasia, passando per suggestioni puramente astratte e per indicazioni più concrete, ad esempio la sacralità di alcuni suoi soggetti.

         Certamente un’operazione come quella in atto da parte dell’artista umbra richiede molta tenacia perché deve potersi liberare da indicazioni eccessivamente referenziali ed accettare invece l’eredità culturale e linguistica  cui è inclinea.

         I nuovi accertamenti sulla realtà indotti dalle intuizioni di Alberto Burri non possono essere per Angela Cacciamani processi imitativi bensì lo sviluppo del concetto indicato dall’idea primaria da sottoporre ad un processo di rielaborazione non solo materica e fisica, ma anche lirica e narrativa, per una affabulazione tutta sua, nell’impeto dell’invenzione.

         Comunque la sua “pittura” non si allontana da una severa legge compositiva che presenta, con i giusti rapporti di timbri e di spazi, una corretta manipolazione di accostamenti e dimensioni. Le congiunzioni e le coniugazioni di materiali diversi in un loro prezioso incastro accentuano la capacità sintattica dell’elaborazione.

 

         L’instabilità della nostra natura non pone limiti alla ricerca ed all’approfondimento, può essere effimera e casuale ma anche intenzionalmente evocativa e tradizionale. Dalla storia dei nostri anni si sono definite varie situazioni, non tutte positive ed attendibili. Ma l’accostamento alla visione estrema delle cose ha un aspetto attraente che ci conduce allo spirito stesso dell’artista, alla sua intelligenza creatrice, alla sua voce visionaria.

 

 

         Il ritmo dei temi trattati da Angela Cacciamani ed a cui abbiamo già fatto riferimento restituisce ai reperti usati per la composizione una loro emozionante incidenza. Ed anche una loro opposta versione per un dibattito costante all’interno dell’intuizione artistica. Accanto all’atrocità dell’abbandono che ogni materiale consunto ha come segno predominante, la scoperta individuale illumina la sua essenza, ne trae gusto naturale nel piacere del recupero estetico della memoria. Le mediazioni sono effettuate con la giusta passione. Ce lo suggerisce il suo recente lavoro, estraneo a matrici poveristiche fine a se stesse. La sua immaginazione è fatta di sapienza descrittiva, di insinuanti piaceri, di simboli lirici. In questi rituali allegorici i dettagli non sono solo “cronaca” ma valori creativi determinanti. Infatti stabiliscono il vero percorso della pittrice all’interno di questo suo approfondimento del fare arte, non perdita d’identità ma dominio culturale e convincimento estetico nell’interpretazione di una poetica che, nella seconda metà del ‘900, aveva tracciato una nuova strada, difficile da percorrere ma assai stimolante.

 

        

 

FRANCA CALZAVACCA

 

Marzo 2011